La Canon F-1

Canon F-1
Primo modello, detta oggi
F-1 old

(produzione 380.000 pezzi, dal 1970 al 1981)






Nell'autunno 1970, al Photokina di Colonia  fu presentata la F-1, prima vera ammiraglia della Canon, degna erede della Canonflex, ma ben dieci anni dopo.

Fu commercializzata nel marzo 1971 e dietro ad essa vi era una mossa commerciale accuratamente calcolata, pensata per contrastare il successo della Nikon F che pur essendo diventata un mito, cominciava a mostrare segni di anzianità, e vi era anche la volontà di spingere le macchine di fascia più bassa, la EF e la FTb, valorizzandole agli occhi dei fotoamatori come facenti parte di un sistema fotografico veramente professionale (politica del resto ancora attuale); ma c'era anche un enorme sforzo di ricerca, durata oltre 5 anni e partita da un'idea precisa: creare una fotocamera di gran classe, inserita in un sistema completo sotto tutti i punti di vista e dotata di tutte le caratteristiche e gli accessori realmente desiderabili.


Le caratteristiche più importanti del progetto erano:

- Intercambiabilità dei mirini senza perdita delle funzionalità dell'esposimetro.
- Possibilità di montare dorsi e motori per gli utilizzi più svariati.
- Otturatore in titanio da 14 micron con tempi sino ad 1/2000"
- Meccanica raffinata e robustissima, concepita per durare nel tempo e per sopportare gli utilizzi più difficili: pesava infatti 832 grammi, quasi un etto più delle già pesanti FTb ed EF.

Canon riuscì alla perfezione in questo progetto, creando una macchina che ebbe in seguito un grande successo commerciale ed incrinò la popolarità della nikon nel settore delle professionali di fascia alta.

Tuttavia, almeno inizialmente (rivista fotografare novembre 1971) la F-1 si vendette con molta difficoltà.
Non tanto per il prezzo, costava 250.000 lire, più della Nikon F, ma meno della Nikon F2 (presentata nel 71), e nemmeno per le piccole critiche che le vennero mosse (come ad esempio la scomodità della ruota dei tempi, la scelta dello schema semispot, la difficoltà di presa della leva di carica che fuoriusciva solo di 15°), ma perché invece Canon si era fatta il nome di una casa che cambiava troppo spesso il modello di punta.
L'avvento del sistema FD infatti rese obsolete tutte le macchine e gli obiettivi FL (parzialmente incompatibili) e se è pur vero che la F-1 fu presentata con un sistema di accessori vasto ed immediatamente disponibile (a differenza per esempio della Miranda dove per avere un accessorio occorreva aspettare molti mesi), è anche vero che i professionisti dell'epoca non avrebbero certo cambiato corredo solo perché era uscita la F-1, temendo prima o poi l'avvento di un nuovo sistema e la conseguente obsolescenza del corredo (cosa che effettivamente avvenne, ma 17 anni dopo)
Giova ricordare infatti che la Canonflex, fotocamera che all'epoca era stata considerata all'avanguardia, fu spazzata via dal sistema FL dopo nemmeno cinque anni di esistenza sul mercato.


In effetti Canon, attardatasi troppo rispetto ai concorrenti sul sistema reflex, sperimentò sulla pelle degli utenti la ricerca di un sistema valido, creando due serie di fotocamere di transizione; la cosa, in un'epoca in cui il consumismo non era sfrenato come oggi, fu recepita malamente dal mercato.

Bisognerà quindi attendere gli anni successivi per l'affermazione di questa grande fotocamera; già nel marzo 1973 la rivista Progresso Fotografico definì la F-1 una fotocamera praticamente perfetta dopo una prova di 5000 scatti, criticando pesantemente altre riviste che avevano giudicato frettolosamente la F-1 soltanto sulla base della disposizione dei comandi funzionali. Elogiò anche la semplicità costruttiva della macchina, priva di bottoncini e levette utili solo per attirare quei compratori che sono incapaci di adattarsi ai comandi di una macchina e che sono alla continua ricerca di qualcosa di nuovo, facendo il gioco delle case costruttrici. A quei tempi le riviste pilotavano l'opinione pubblica con correttezza, stroncando i prodotti poco validi ed elogiando quelli meritevoli. Provate a leggere oggi le "comparative" che fanno sulle macchine digitali....tutte ne escono vincitrici, nessuna ha difetti perché il prezioso inserzionista non può essere irritato da un'articolo che demolisce i suoi prodotti.

La filosofia costruttiva di Canon per il sistema FD fu improntata alla massima semplificazione e razionalità d'uso, eliminando tutti i comandi superflui che altre case avevano imparato ad offrire per allettare i fotoamatori.
A titolo di esempio il comando polifunzionale anteriore che riunisce autoscatto, misurazione stop-down, anteprima profondità di campo e blocco sollevamento specchio, è un autentico capolavoro, che fu invidiato da molti altri costruttori e che dimostrò grande capacità tecnica. Peraltro questo "razionalismo" è ciò io ho sempre apprezzato nel sistema FD. Niente inutili orpelli, pulsanti, levette. Il meno possibile, organizzato nel modo migliore possibile.


Le informazioni che leggerete su questa macchina sono tratte da una monografia pubblicata in tiratura limitata il 10 settembre 1972, oggi introvabile.
Si tratta di un libro di 150 pagine, che descrive con accuratezza sia la F-1, sia il sistema di accessori.
Praticamente nessuno è a conoscenza dell'esistenza di questo volume, che mi è costato oltre 4 anni di ricerca giornaliera sul web.



Una premessa: trovare oggi una di queste fotocamere in ottimo stato è veramente difficile, fu una macchina molto diffusa e di conseguenza quelle che si trovano sono spesso in brutte condizioni; a quei tempi il fenomeno del fotoamatore abbiente, che comprava fotocamere professionali solo per vantarsene con gli amici, o per scopo di collezione, non era cosi' diffuso come ai giorni nostri; già dieci anni dopo, con l'avvento della nuova F-1 le cose cambiarono ed infatti trovare queste ultime in ottime condizioni è molto più facile.

Ecco una vista d'assieme dello smisurato sistema di accessori (oltre duecento elementi) pensati per la F-1:



Contemporaneamente alla presentazione della F-1 vennero introdotti i nuovi obiettivi FD, che introducevano, oltre la lettura della luce a tutta apertura, anche la particolarità dell'anello di serraggio di compiere automaticamente una piccola rotazione non appena l'obiettivo fosse presentato sulla baionetta, in modo da impegnarla ed assicurarlo da cadute accidentali.

A titolo di curiosità il sistema di preserraggio dell'anello traeva la forza necessaria dalla molla di chiusura del diaframma, quindi montando l'obiettivo col diaframma regolato sulla massima chiusura si può avere una maggiore rotazione dell'anello ed un montaggio più sicuro.

Una curiosità interessante riguarda il nome scelto da Canon per la montatura degli obiettivi:  Breach Lock.

In lingua inglese il termine corretto è breech-lock perché breech significa "culatta" oppure "collare di serraggio", mentre breach significa  "violazione", "infrazione" od altre accezioni similari.

Eppure questo è il nome scelto da canon, indipendentemente dalla correttezza del termine; lo dimostra questa pagina del libro sulla F-1, dove ho sottolineato in rosso il termine:




Funzionalmente la F-1 fu impostata come le macchine dello stesso periodo, con qualche importante differenza.

La slitta porta accessori era assente, perché dato che il pentaprisma era intercambiabile, fu deciso di non complicare la costruzione inserendo contatti mobili per la
trasmissione del segnale sui vari prismi disponibili (ma la cosa pote' essere realizzata sulla nuova F-1 di 10 anni dopo)

Fu quindi ideato un sistema per l'uso del flash basato su accessori denominati flash coupler, che sfruttavano i contatti inseriti dietro il manettino di riavvolgimento della pellicola.

Era assente anche il dispositivo di carica rapida QL perché era incompatibile con il dorso da 250 fotogrammi; inoltre la rotazione del rocchetto di carica della pellicola fu modificata per essere concorde con la rotazione del rocchetto di traino, questo per evitare che l'inversione della pellicola durante l'avvolgimento (come avveniva sulle precedenti Pellix, FT, sulle coeve EF ed FTb,  e sulla successiva A-1) potesse in climi freddi lesionare l'emulsione fotografica ed anche per evitare che l'avvolgimento al contrario rendesse difficili le operazioni di caricamento della pellicola nella tank di sviluppo; questa modifica comportava una complicazione meccanica dato che due alberi accoppiati da ingranaggi sono costretti a ruotare in senso opposto mentre per ottenere lo stesso senso di rotazione è necessario interporre un terzo ingranaggio.
A titolo di curiosità, all'interno dei rulli di riavvolgimento delle tendine, visibili nella foto precedente, furono montate molle con sezione rettangolare (come negli orologi) per minimizzare il rischio di rottura per fatica che sulle molle a sezione circolare è molto maggiore.

La macchina era dotata di autoscatto ad orologeria da 10 secondi:



azionabile tramite la consueta leva sul frontale del corpo, la quale permetteva anche il sollevamento anticipato dello specchio per minimizzare le vibrazioni; sulla stessa leva, coassialmente, era disponibile il comando per la chiusura del diaframma al valore impostato (stop-down) per il controllo della sfocatura, oppure in abbinamento a precedenti obiettivi FL od R non automatici.

Era alimentata da una pila PX625 al mercurio da 1.35V, a quei tempi usata da moltissimi costruttori, alloggiata nel fondello inferiore della quale il controllo della carica andava effettuato ponendo la sensibilità su 100 asa, il tempo di scatto su 1/2000, e girando verso la lettera C il piccolo pomello posto sulla calotta a sinistra del mirino (interruttore dell'esposimetro): il galvanometro indicava la corretta carica posizionandosi al di sopra di una piccola tacca, come potete vedere in questa illustrazione




La F-1 non fu dotata di un circuito elettronico per il controllo della tensione della pila; ciò rende impossibile l'uso delle attuali pile da 1,5V senza dover procedere con la taratura dell'esposimetro o dover utilizzare adattatori di tensione.

L'esposimetro può essere regolato tramite un piccolo trimmer disposto sotto al manettino di ricarica della pellicola, che è rimuovibile semplicemente grazie a 3 viti e senza dover smontare la calotta, operazione che invece comporta l'uso di chiavi particolari, tuttavia l'entità della regolazione è modesta, concepita per una regolazione fine, quindi per recuperare l'errore di esposizione dovuto alla maggior tensione, occorre sovraesporre impostando una sensibilità della pellicola inferiore di uno stop a quella nominale, tenendo presente però che la scarica della pila con tensione non costante può provocare fluttuazioni nella lettura. Una soluzione è quella di utilizzare pile weincell zinco-aria; purtroppo però esse durano poco. In alternativa si può comprare un adattatore MR-9 ed utilizzare pile all'ossido di argento SR43 per apparecchi acustici. Questa a mio avviso è la migliore soluzione.

Osserviamo che il mirino non mostrava i valori numerici dei diaframmi nella scala del collimatore (il cerchietto mobile), tale innovazione fu introdotta solo sui modelli successivi (era tuttavia disponibile montando un prisma opzionale, il servo EE finder).

Era indicato invece il tempo impostato, oltre agli avvertimenti di sottoesposizione e sovraesposizione in rosso.

La scala dei diaframmi tiene conto della luminosità massima dell'obiettivo, traendo questa informazione da un perno, situato sul fondello dell'obiettivo, la cui altezza varia a seconda della luminosità massima.

Su questo perno si appoggia un tastatore, presente nel bocchettone, in questo modo viene modificato il punto di partenza della scala del diaframma in base alla luminosità dell'obiettivo.
Ad esempio, visto che la scala parte da F/1.2 (il massimo diaframma disponibile sul sistema FD), montando un obiettivo F/4 il collimatore parte da un punto situato più in alto rispetto al limite inferiore della scala.

In caso di selezione al di fuori del campo di accoppiamento dell'esposimetro (il cui galvanometro è accoppiato meccanicamente ai tempi di scatto, tramite rotazione dello statore), la scala del galvanometro si colora in rosso per segnalare l'impossibilità di esporre e la necessità conseguente di variare tempo di scatto.

Per la messa a fuoco era presente il classico stigmometro ad immagine spezzata ed il cerchio di microprismi, ma erano disponibili in tutto 9 schermi di messa a fuoco supplementari, per la prima volta smerigliati al laser e luminosissimi:


L'apertura del dorso fu resa più sicura tramite una doppia manovra, atta ad evitare aperture accidentali: occorreva alzare il manettino di riavvolgimento, e contemporaneamente premere un pulsante.

Ecco due disegni esplosi che mostrano la costruzione interamente meccanica della F-1:



In questa altra immagine trovate la descrizione funzionale della F-1, tratta dai libretti d'uso.



La macchina era completamente meccanica, quindi la pila serviva solo per il circuito dell'esposimetro.

Per il controllo dell'esposizione occorreva far coincidere il collimatore corrispondente all'apertura del diaframma, con l'indice del galvanometro:


Nel caso in cui la scala diventasse tutta rossa il campo di accoppiamento dell'esposimetro non era compatibile con i parametri selezionati, occorreva quindi modificarli (oppure usare il T-booster).
La piccola tacca grigia invece era il riferimento, oltre che per il controllo di carica della batteria, anche per le operazioni di misura in stop-down, visto che in questa situazione il collimatore scompariva dalla scala.

Questa è la tabella dei campi di accoppiamento dell'esposimetro:


La leva di caricamento della pellicola aveva un movimento molto ampio, di 180°, ma poteva essere usata in modo additivo, e volendo la si poteva lasciare semiaperta, con un angolo di circa 15° su cui vi era un arresto, per azionarla più rapidamente in caso di fotografia d'azione.

L'otturatore, con tendine di titanio spesse solamente 14 micron fu per la prima volta testato per 100.000 scatti, pubblicizzando la cosa nei cataloghi dell'epoca.

Il mirino per la prima volta era dotato di un prisma ausiliario per l'eliminazione delle immagini secondarie, offriva un campo inquadrato del 97% con un ingrandimento pari a 0,77 con un obiettivo 50mm e riportava un rettangolo pari al 15% del campo inquadrato che era poi quello analizzato dall'esposimetro, ciò che oggi chiameremmo semispot.
Questa scelta fu obbligata. L'esposimetro infatti cattura la luce tramite una finestrella semitrasparente obliqua inserita nello schermo di messa a fuoco. Tale finestrella in certe condizioni si rabbuia: la cosa è tollerabile se l'estensione della finestrella è limitata al 15%, ma diventerebbe insopportabile se l'ampiezza fosse maggiore.
E' vero che sulla EF uscita l'anno dopo fu usato uno schema con media ponderata, ma su quella macchina lo schermo è fisso e la fotocellula è sopra il mirino, mentre sulla F-1 lo schermo è sostituibile e la fotocellula si trova nella posizione della costa dello schermo di messa a fuoco. Non era possibile per Canon in quel tempo impostare un esposimetro a media ponderata con schermo sostituibile (la cosa però venne realizzata 10 anni dopo sulla nuova F-1).
Questa scelta provocò diverse critiche. L'esposizione tramite schema semispot richiede ragionamenti per evitare errori e nel periodo in cui molti produttori usavano da tempo schemi a media ponderata, la scelta di Canon risultò antipatica ed anacronistica.

L'esposimetro, come già nella precedente EX EE, funzionava finalmente a tutta apertura, poteva essere predisposto per sensibilità da 25 sino a 2000asa ed aveva un campo di misurazione da 2,5 a 19EV a 100asa. Era previsto anche un booster, ma di questo parlerò più avanti.

Con obiettivi non automatici era sempre possibile lavorare in stop-down come di consuetudine fino all'avvento di questi modelli.

Iniziamo ora la descrizione dello smisurato parco accessori concepito per la F-1.



Accoppiatori Flash
(flash coupler)



Anche sull'ammiraglia era certamente possibile utilizzare lampeggiatori elettronici, pur se sprovvista di slitta apposita.

Erano infatti previsti tre accessori per questo scopo:

Il primo, denominato flash coupler D:


si montava sopra il manettino di riavvolgimento della pellicola, e manteneva il flash disassato rispetto all'asse ottico.
Pensato principalmente per i flash non canon funzionanti solo tramite il contatto caldo, oppure da collegare alla presa sincro tramite apposito cavetto e per i flash con lampada a combustione tipo V3.


Il secondo modello, denominato flash coupler F:




era più sofisticato, si trattava di una staffa da ancorare all'oculare rotondo del mirino, che a differenza del precedente permetteva il montaggio sopra il pentaprisma, in asse con l'obiettivo; lo scopo era anche quello di permettere un montaggio più sicuro del flash, che con gli altri coupler rimaneva un po' traballante, non essendo stati previsti sistemi di bloccaggio; inoltre poteva essere lasciato montato permanentemente in quanto non impediva le operazioni di riavvolgimento della pellicola come gli altri due coupler.

Il terzo modello, denominato flash coupler L:


a differenza dei primi due, permetteva l'uso dei più moderni flash automatici CAT; tale sistema prendeva il controllo del galvanometro, facendogli indicare il diaframma da impostare per l'esposizione corretta in base alla distanza rilevata da un anello potenziometrico.
Per questo motivo richiedeva un'alimentazione autonoma, inoltre permetteva l'illuminazione della scala esposimetrica, oscurata dall'ingombro dell'accoppiatore,  tramite una piccola lampadina.
Troverete un'accurata descrizioni dei sistemi flash nella pagina dedicata.



Oculari e prismi




I prismi disponibili per la F-1 e gli altri accessori destinati alla visione erano parecchi, consentendo una agilità operativa impressionante.

Una breve annotazione: curiosamente sulla F-1 fu introdotto un oculare rotondo denominato "R", mentre "S" erano denominati quelli rettangolari.

Ufficialmente non sappiamo per quale motivo fu effettuata questa scelta, ma si presume che non ci fosse un reale motivo tecnico, infatti dietro l'oculare tondo svitabile vi era una finestra rettangolare che delimitava il campo visivo, né si puo' pensare che fosse più facile da produrre rispetto a quelli rettangolari, né tantomeno che fosse per usare l'ingranditore ribaltabile, prodotto identico anche per gli oculari tipo S.

La mia opinione è che l'oculare tondo tipo R sia stato adottato in omaggio alla prima reflex canon amata dai professionisti, la Canonflex del 1960 che utilizzava per l'appunto tale tipologia d'oculare:



ed anche per differenziare la prima vera ammiraglia moderna da tutte le altre fotocamere.
Tale scelta fu mantenuta anche con la F-1 nuova di dieci anni dopo.


Un utile accessorio dedicato alla visione delle immagini nel mirino, era il magnifier R:


un oggetto interessante, che si fissava dietro la finestrella tonda dell'oculare ed era dotato di una cerniera a snodo che permetteva di ribaltarlo verso l'alto quando non necessario.
Unico limite era rappresentato dall'impossibilità di ingrandire tutto il mirino e quindi di non poter leggere l'esposimetro. Tuttavia la versatilità dello snodo permetteva di usarlo per ingrandire (2.5X) la porzione centrale alla bisogna (per esempio per macrofotografie) e di ribaltarlo verso l'alto quando non necessario.
Inoltre svitando l'oculare dalla sua montatura, era possibile avvitarlo direttamente sul pentaprisma, riducendo l'ingombro, oppure innestarlo a scatto con un anello di plastica in dotazione, direttamente sull'oculare R, quando usato insieme ai prismi booster, conservando la regolazione diottrica.
Se pensiamo ai mirini ingranditori forniti oggi, ci viene da ridere.

Un'altra possibilità era fornita dall'angle finder :


esso permetteva di ingrandire il campo inquadrato con una visione dall'alto, utile per situazioni particolari, specialmente in macrofotografia.
L'angle finder era fornito in due versioni: la versione B forniva la visione corretta, come quella del pentaprisma della reflex, mentre la versione A2 forniva la visione ribaltata sull'asse verticale (con i lati invertiti).

Un altro accessorio interessante e poco conosciuto è il Finder Illuminator F un illuminatore per la scala dell'esposimetro alimentato da una pila PX625 da montare sul manettino di avvolgimento, che permette di leggere la scala dell'esposimetro anche in condizioni di oscurità.


Gli accessori previsti per il mirino in sostituzione del pentaprisma (Eye level finder) erano 4.


Il più semplice era denominato waist level finder:

Waist level finder chiuso

Waist level finder aperto

Waist level finder aperto con lente di ingrandimento ribaltata in posizione di lavoro


Il Waist level finder in realtà non era un prisma, ma un semplice pozzetto a visione verticale, munito di una lente ribaltabile, come allora in uso sulle fotocamere biottiche (rolleiflex, yashica ecc)

Con tale accessorio si osservava la composizione sul vetro di messa a fuoco, quindi senza nessun ingrandimento, a parte quello fornito dalla piccola lente ribaltabile, pari a 5 ingrandimenti, limitato alla zona centrale di messa a fuoco.
Mentre la visione senza ingrandimenti era permessa anche a distanza di 60cm, la visione con la lente richiedeva l'avvicinamento dell'occhio al mirino.

Inoltre la scala dell'esposimetro non risultava visibile e non era possibile effettuare correzioni diottriche, cosa che ne rendeva l'uso difficile ai portatori di occhiali.
Fu pensato sicuramente per coloro che desideravano portare il sistema di visione all'altezza della cintura anche su una reflex, per esempio nell'uso street, dove la possibilità di inquadrare senza puntare direttamente la fotocamera sul soggetto spesso si rivela efficace.

Come vedremo in seguito lo stesso sistema fu adottato e perfezionato anche sulla nuova F-1 del 1982.

Ecco come si presenta la F-1 con il waist level finder montato:




Il secondo tipo di prisma disponibile era lo speed finder :

Speed finder regolato per la visione dall'alto

Speed finder regolato per visione normale


Lo speed finder è un mirino composto da un elemento rotante, che permetteva inquadrature dall'alto e da sotto, ad altezza cintura, ed anche in posizioni inclinate (con un po' di difficoltà); pensato principalmente per sport ed azione, ma limitato nell'uso per via della moderata riduzione dell'ingrandimento del campo visivo, pari a -0,84X e dalla mancanza di correzione diottrica. Tuttavia era possibile osservare la scena fino a sei centimetri di distanza dall'oculare ed era disponibile la visione della scala esposimetrica.


Il terzo tipo di prisma disponibile era il Booster T Finder :




Struttura meccanica: si nota il grosso potenziometro circolare.

Schema elettronico del circuito.


Si trattava di uno strumento assai complesso ed unico nel suo genere nel momento in cui fu immesso sul mercato.

La F-1 era una macchina interamente meccanica, soffriva quindi di limitazioni che potevano essere superate solo mediante l'elettronica; per aggiungerle delle funzioni assenti sul solo corpo era quindi indispensabile incorporare l'elettronica di controllo direttamente sugli accessori, cosa che li rese ingombranti e costosi.

Il booster T finder era sostanzialmente un amplificatore di sensibilità, che veniva ampliata da 25 sino a 12800 asa, mediante due cellule CdS incorporate ed esposimetro ad esse collegato ed indipendente da quello della fotocamera; esso poteva essere gestito direttamente sul booster tramite regolazioni dei tempi di scatto, sensibilità pellicola e controllato tramite un galvanometro separato, che fungeva anche da tester per la batteria incorporata.

Tale esposimetro garantiva un campo di accoppiamento incrementato da -3.5EV sino a 15EV a 100 ASA; ed era munito di un timer elettronico per i tempi di otturazione molto lenti ( da 3 sino a 60 secondi).
L'alimentazione era fornita da una pila PX28L (la stessa usata poi sulla F-1new), oppure in alternativa tramite un cavetto speciale si potevano usare i pacchi batteria del sistema F-1.
Infine lo schema esposimetrico veniva modificato da semispot 15% a media ponderata al centro.

Le modalità di misura erano due:

  • Per tempi lenti da 3 secondi sino a 60 secondi

Dopo avere inquadrato e composto l'immagine nonché dopo scelto il diaframma, con macchina su treppiede, occorreva chiudere l'otturatore oculare (per non influenzare l'esposimetro con luce parassita), predisporre la macchina sulle pose lente (scala arancione) disaccoppiando le rotelle dei tempi (con l'apposito cursore) e fare la misura in stop-down chiudendo il diaframma con la leva sul corpo macchina, usando come riferimento per l'esposizione (e quindi per la scelta del tempo) il galvanometro posto sulla sommità del booster.
Naturalmente era possibile simulare il funzionamento del booster senza caricare l'otturatore per verificare il funzionamento su varie aperture di diaframma, e scegliere quella più adatta alle proprie esigenze; inoltre la scelta della sensibilità della pellicola influenzava l'accoppiamento dei tempi di scatto: per poter arrivare fino a 60 secondi di esposizione era necessario l'utilizzo di una pellicola da 25 asa, con sensibilità superiori i tempi disponibili si abbreviavano di conseguenza.

Premendo infine il pulsante di scatto del booster entrava in funzione un timer elettronico che estendeva i tempi di otturazione trattenendo il pulsante in posizione (mantenendo aperto l'otturatore); contemporaneamente la lampada sulla sommità lampeggiava con frequenza di un secondo, per indicare il funzionamento del timer il quale controllava il pulsante di scatto ed al termine del tempo selezionato effettuava il rilascio concludendo l'esposizione del fotogramma.

  • Per tempi veloci da 1 secondo ad 1/60"

Si poteva utilizzare l'esposimetro incorporato nella fotocamera riaccoppiando le due ghiere dei tempi in modo da poter selezionare il tempo di scatto sulla scala bianca e lavorare a tutta apertura, come di consuetudine.
In questo caso una lampada incorporata provvedeva ad illuminare la scala dell'esposimetro visibile nel mirino.
In caso di selezione al di fuori del campo di accoppiamento dell'esposimetro, la scala del galvanometro si colorava in rosso per segnalare l'impossibilità di esporre.

Tra gli appunti che si possono fare c'è sicuramente l'estrema difficoltà nell'azionamento della leva di carica pellicola, che se non mantenuta sulla posizione arretrata di partenza, diventava difficilissima da estrarre; questo aspetto fu modificato con il secondo modello di F-1 del 1976, dove la leva di carica ebbe un punto di partenza ulteriormente arretrato di 15°.

Infine non era possibile utilizzare tempi più rapidi di 1/60" se non rimuovendo il Booster.

Tuttavia poter disporre di un sistema così sensibile da consentire scatti notturni di 60 secondi a -3.5EV non è cosa da poco, ed oggi non è possibile, a meno di non usare esposimetri esterni.


Il quarto tipo di prisma disponibile era il Servo EE Finder :

Selettore apertura minima e selettore tempi

Selettore modalità di comando

Pulsante controllo tensione batteria ed antina oculare
Schema meccanico

Ed era il più complesso dei prismi ausiliari essendo motorizzato e pesante (430gr)

Il suo compito era di introdurre la modalità a priorità di tempi e per questo era dotato di due fotocellule CdS per controllare l'esposizione e di un servomotore interno dedicato all'apertura del diaframma, la cui attuazione veniva effettuata attraverso una minuscola finestrella verticale sul lato sinistro del bocchettone; in pratica fissato il tempo di lavoro, il servo motore gestiva in tempo reale l'apertura del diaframma, in base alla luce letta dall'esposimetro ed in modo completamente automatico, tramite un perno scorrevole che fisicamente apriva e chiudeva il diaframma.

Per calibrare correttamente il funzionamento del servo motore occorreva impostare la luminosità massima dell'obiettivo utilizzato tramite il selettore situato sulla calotta, che inoltre predisponeva correttamente i valori sulla scala dei diaframmi.
Inoltre era essenziale, per il corretto allineamento del perno di comando, disporre la ghiera dei diaframmi su "A".
Un selettore infine permetteva di attivare permanentemente, temporaneamente e disattivare le operazioni servo EE per usare il prisma anche manualmente.
Anche in questo caso era possibile chiudere l'oculare tramite un'antina per non influenzare l'esposimetro con luce parassita durante lo scatto non presidiato.

Era quindi possibile ottenere il controllo in tempo reale del diaframma a seconda delle condizioni di luce (l'equivalente dell'odierno AIservo), oppure effettuare una misura temporanea per ricavare il diaframma da usare e ricomporre senza perdere la misura.

Il servo EE finder introduceva inoltre la scala graduata dei diaframmi nel mirino, e modificava lo schema di lettura esposimetrico da semispot 15% a media con prevalenza centrale.

Una informazione che non si trova tanto facilmente riguarda l'aggiornamento della scala di sensibilità.
Sino alla matricola 20.000 la sensibilità massima impostabile era di 2000 Asa, mentre i modelli con matricola superiore a 20.000 furono aggiornati a 3200 Asa, per poter essere usati con l'aggiornamento della F-1 del 1976, dotata appunto di estensione sino a 3200 Asa.

Scala diaframmi del servo EE finder
Purtroppo la presenza del motorino incorporato, che doveva rimanere costantemente in funzione, fece sì che non fu possibile alimentare autonomamente l'unità che doveva quindi essere collegata, a scelta, al gruppo portapile esterno già previsto per il T finder, oppure al motordrive MF, a prezzo di un ingombro e di un peso notevole (oltre 2400g) e di un costo che per quei tempi sarà stato elevatissimo.

In queste foto vedete la F-1 con il motor drive MF, il servo EE finder ed il raro FD55/1.2 Asferico del 1975.






Dorsi supplementari





Sulla F-1 erano disponibili due dorsi supplementari, che si installavano tramite una cerniera smontabile, sostituendo l'originale.

Uno dei due era denominato Film chamber 250:



 Si tratta di un magazzino per pellicola sfusa, che doveva essere preventivamente avvolta su appositi caricatori denominati Film magazine 250:




operazione da farsi in camera oscura, tramite una bobinatrice, denominata Film loader 250:



Tali caricatori, dotati su un sistema scorrevole a tenuta di luce, venivano poi introdotti nel dorso a coppie (uno pieno ed uno vuoto), durante il funzionamento la pellicola si arrotolava sul caricatore vuoto, che poi veniva estratto e mandato allo sviluppo.

Il Film chamber 250 è un oggetto oggi introvabile e costosissimo, dotato di motorino interno supplementare e di meccanismi di protezione, con sicurezze per non consentire l'azionamento con pellicola non caricata o terminata, e per impedire l'apertura del dorso con i caricatori aperti, per non esporre la pellicola alla luce.




L'altro dorso disponibile, il dorso datario, denominato Data Back F, poi esteso alla A-1 ed alla nuova F-1, permetteva di imprimere la data (o altre annotazioni) sulla pellicola. Il collegamento al segnale di scatto veniva effettuato tramite il cavetto sincro.



Esso permetteva di imprimere la data sulla pellicola, data che poteva essere impostata tramite cursori a rotella sulla parte posteriore.
Anche in questo dorso troviamo tecnologia: la data veniva impressa utilizzando una minuscola lampada a scarica (un piccolo flash) che proiettava la luce su maschere realizzate con la tecnologia dei microfilm.
Queste maschere erano ruote opache con incisi i numeri in trasparenza, e venivano comandate dalle rotelle posteriori. Una minuscola finestrella intercettava solo la porzione utile a formare l'immagine sulla pellicola.
In effetti osservando questa minuscola finestrella sul pressapellicola con una lente, ed azionando l'interruttore manuale, si nota un piccolo lampo che crea l'immagine luminosa, nitidissima, con le lettere selezionate.
I dorsi realizzati con tecnologia LCD negli anni successivi non sono sopravvissuti ai giorni nostri: mostrano quasi tutti lo schermo a cristalli liquidi danneggiato.

Disgraziatamente l'impostazione per l'anno era basata su due cifre, da 82 fino a 92, che per l'epoca doveva essere considerato decisamente remoto.
Erano tuttavia disponibili numeri singoli da 0 a 9, i numeri romani da I a X, e le lettere minuscole da "a" fino a "g"; oppure nessuna cifra.
Per il mese invece oltre i numeri da 0 a 31 (si, proprio fino a 31), erano disponibili le lettere maiuscole da "A" sino a "G", oppure nessuna cifra.
Per i giorni infine erano disponibili i numeri da 0 a 31, oppure nessuna cifra.
In questo modo era possibile quindi imprimere anche codifiche alfabetiche, oltre che la data.

Il dorso datario poteva funzionare automaticamente per ogni scatto, oppure manualmente tramite un apposito pulsante, per imprimere la data solo se desiderato.
Il funzionamento era segnalato da una lampada arancione, che indicava sia l'avvenuta accensione rimanendo permanentemente accesa, sia l'impressione della data, lampeggiando ogni volta.
Era disponibile un selettore di intensità della luce emessa dalla lampada a scarica, per adeguarla alle varie sensibilità di pellicole disponibili, in modo da avere un risultato ottimale.
L'alimentazione era fornita tramite una pila da 6V tipo 4LR44/PX28.
Benché un accessorio del genere possa sembrare del tutto inutile , io lo ritengo invece interessante.
Lo uso infatti per marcare il primo fotogramma di un caricatore con la data del giorno in cui faccio gli scatti, in modo da conservarne memoria per l'archivio, il risultato è questo:


Da notare che il dorso datario, in abbinamento ad un motore per il trascinamento della pellicola rallenta la cadenza di raffica se impostato per imprimere ogni fotogramma.
Anche il dorso datario, come molti accessori elettronici della prima generazione è avidissimo di energia: basta dimenticarselo acceso una notte per trovare la pila completamente scarica.




Qui invece un dorso assai raro, denominato semplicemente Canon data back:

Cortesia di Marco Cavina


Si tratta di un dorso programmabile tramite una unità esterna a forma di calcolatrice, per poter imprimere codifiche numeriche sul fotogramma molto più estese che con il databack F.
Costava una volta e mezza il prezzo della F-1 + 50/1.4 e probabilmente sarà stato realizzato solo su ordinazione.
Sinceramente pensavo che non avrei mai potuto vederlo, invece recentemente ne è apparso uno su ebay:













Peccato che il prezzo richiesto, 1800 euro, sia una follia.


Un'altra rara applicazione è questo dorso 250 fotogrammi modificato dai Laboratori Epsilon nel Massachusetts:




probabilmente adoperato per fotografare esperimenti militari.



Motori per il traino della pellicola





Il motore più semplice era denominato Power winder F:





dotato di un raffinato pacco portapile, e capace di 0,5 scatti al secondo. A differenza degli altri due motori era tuttavia dotato di pulsante replicato per lo scatto con fotocamera in verticale.


Mentre invece questo è il potente Motor Drive MF:




Capace di 3,5 scatti al secondo con gruppo portapile di comando staccabile ed utilizzabile in remoto tramite un apposito cavo di collegamento (quando usato in abbinamento al dorso da 250 fotogrammi), il Connecting cord MF:


Era previsto anche un intervallometro esterno denominato Interval timer L da applicare sul dorso del motore per scatti temporizzati:


Inoltre era possibile usare (dal parco accessori delle telecamere) altri due timer di fattura meno raffinata, quale ad esempio l'Interval timer E dedicato alle videocamere, ma applicabile anche sul motordrive tramite il jack da 2.5mm, temporizzazione da 0,5 a 60 secondi (anche se la scala è graduata sino a 10):



Ed un Self timer E, di apparenza simile al precedente e limitato al solo autoscatto a 10 secondi.



Questo invece è il Motor Drive Unit piuttosto raro, pensato per le funzioni di scatto non presidiate in abbinamento al dorso da 250 pose, per via delle sue numerose funzioni regolabili, tra cui un timer per lo scatto temporizzato e la raffica fino a 3 scatti al secondo.
Era dotato di due motori, uno per l'avanzamento della pellicola ed uno per lo scatto dell'otturatore; tale soluzione era unica sul panorama mondiale.
Il motore per il traino della pellicola, molto robusto, era dotato di un riduttore di velocità epicicloidale (indispensabile, dato l'ingombro contenuto dentro il manico) e di un regolatore di velocità centrifugo essenziale per il controllo della velocità di traino e per la dolcezza di funzionamento; infine era previsto un sistema parastrappi per addolcire lo spunto di avviamento e non lesionare la pellicola. Parliamo di squisite raffinatezze meccaniche.



Oltre ad essere alimentabile tramite il battery case da 15V usato anche per il servo EE finder ed il Booster T finder, era previsto un ulteriore pacco pile da fissare senza cavo sull'apposita slitta a lato del manico, che rendeva l'assieme trasportabile senza l'impiccio dei cavi.

Questo è l'impressionante motore che occupa tutto l'ingombro del manico:



Inoltre in collegamento al magazzino pellicola da 250 pose, e con il Servo EE finder permetteva l'uso della macchina non presidiata per scattare fotografia naturalistica o scientifica.
Questa caratteristica, che sfruttava il timer incorporato nel motore, regolabile da 0,5 sino a 60 secondi, era unica al mondo.

L'unica foto che ho trovato per mostrare quell'impressionante sistema è tratta dal libro che ho citato:

1971


Ed ecco invece lo stesso sistema faticosamente ricomposto oggi, a distanza di 40 anni dalla sua commercializzazione:

2011
  Dalla mia collezione potete osservare:

  • F-1n del 1976
  • Dorso 250 fotogrammi
  • Motor drive unit
  • Battery case con connector MD
  • Servo EE finder alimentato dallo stesso battery case
  • Telecomando a filo.

Non vi dico le enormi difficoltà per trovare questi elementi funzionanti ed in buono stato....



Questa invece è la configurazione alternativa, dove al posto del Motor drive unit è stato utilizzato il Motor drive MF.
Si noti il gruppo portapile (che fa da impugnatura) staccato a causa del montaggio del Film chamber 250.




Nessuno dei tre motori previsti per la F-1 old permetteva il riavvolgimento della pellicola, che andava quindi effettuato tramite il manettino superiore. Tale caratteristica fu inserita solo sul motore di punta per la nuova F-1 dieci anni dopo.




Alimentazione elettrica degli accessori




Per l'alimentazione esterna dei vari accessori fino a qui illustrati venne concepito un vero e proprio sistema, basato principalmente su di un pacco portabatterie ausiliario da portare a tracolla (o cintura tramite clip metallica), il cosiddetto Battery Case:


Esso era dotato di un connettore tripolare per cavetti da 6V (per alimentare il Booster T finder) e 12V (per alimentare il servo EE finder); poteva essere equipaggiato con uno a scelta dei due portapile da 15V e da 12V.




Il resto del sistema di alimentazione era costituito dai seguenti elementi:

- Battery connector MD (MD=motor drive)


Una calotta da sovrapporre al battery case, munita di cordone permanente con spina DIN per alimentare il Motor drive unit, di connettore tripolare per alimentare i due prismi speciali (T ed EE) e di connettore pentapolare (DIN) per utilizzare il telecomando a filo in dotazione al Motor drive unit


- Battery magazine 15V: Portapile per 10 pile stilo, da usare per Motor drive unit e servo EE finder.



- Battery magazine 12 V : Portapile per 8 pile stilo, da usare per Motor drive unit e per il Booster T finder.




- Battery case D: Con attacco a slitta specifico per Motor drive unit, previsto per l'uso di entrambi i portapile 12V e 15V.




qui montato sul motore:




- Battery checker MD: Un tester per la verifica della tensione da collegare al cavo DIN del Connector MD.





- Cord 6V2B: Per alimentare il booster T finder usando il battery case col magazine 12V.





- Cord 12V2E: Per alimentare il Servo EE finder usando il battery case ed il magazine 15V.




- Remote switch MD: Un telecomando a filo dotato di pulsante di scatto bloccabile, selettore scatto singolo/raffica e spia di controllo. Dotato di cavo di lungo 10m.



Il Motor drive unit quindi si configura come l'unità più versatile di tutto il sistema accessori potendo alimentare entrambi i prismi speciali T ed EE, ed essendo dotato di funzioni di temporizzazione e scatto remoto.


Tuttavia anche il potente Motor drive MF, pur meno versatile, poteva essere usato per l'alimentazione degli accessori.
Fu previsto infatti solo un corto cavetto specifico, il Connecting cord MF for servo EE finder, per alimentare direttamente il servo EE finder:




mentre non fu mai prevista l'alimentazione per il Booster T finder che poteva essere usato sul Motor drive MF solo tramite la pila incorporata.





Curiosità





Questo era un sistema assai speciale che consentiva di utilizzare la F-1 come un sistema di video-sorveglianza, dotato di messa a fuoco automatica motorizzata:




Su tale accessorio non sono riuscito a trovare nessuna informazione dettagliata, suppongo che il costo elevatissimo e la fabbricazione solo su richiesta ne abbia limitato fortemente la diffusione.


Nel 1972, in occasione dei giochi olimpici invernali a Sapporo, venne allestita una versione speciale per scatti ad alta velocità, capace di 9 scatti al secondo, di cui vennero prodotti solo un centinaio di pezzi:

 

Mentre questa la versione, meno potente, regolarmente messa in commercio:




L'uso pratico però era piuttosto limitato:

  • Mancanza dell'esposimetro
  • Impossibilità di lavorare a tutta apertura, ma solo al diaframma di lavoro (in stop-down)
  • Autoscatto non presente
  • Nessuna sincronizzazione per flash
  • Velocità otturatore limitata tra 1/60" ed 1/1000"
  • Tendine in stoffa gommata al posto di quelle in titanio
  • Specchio semitrasparente (come quello della Pellix)
  • Alimentazione con ben 20 pile AA da 1,5V

Inutile dire che l'estrema rarità di questa macchina porta la sua quotazione attuale intorno ai 10.000 euro.


Altre due versioni commemorative furono l'edizione speciale per i giochi olimpici del 1976 a montreal:




e quella per i giochi olimpici invernali del 1980, svoltisi a Lake Placid negli stati uniti:




riportanti il logo della manifestazione.

Canon curò anche una produzione limitata per le poste (sigla E.P.)  oltre  che per la marina militare (sigla U.S. NAVY) , sia di macchine, sia di obiettivi.

Ecco una F-1 in versione speciale per la marina militare americana:

Cortesia di Marco Vixy


Un altro rarissimo esemplare della F-1 è quello che fu denominato Olive drab, destinato al reportage estremo e rifinito con livrea militare, venduto in kit con l'altrettanto raro zoom 20-35 in versione breachlock:






Osservate il prezzo dell'asta: 3000 euro...

Per chi dubita della sua esistenza, ne è apparsa una su ebay, offerta a 900 euro in condizioni discrete:




Oppure una curiosa versione senza esposimetro: 





Qui invece una altrettanto rara e bellissima F-1 in versione cromata, prodotta in soli mille esemplari:







Infine un autentico reperto, la F-1n in versione dorata:



Non mi è dato sapere quanti pezzi ne furono prodotti, né quanto potesse costare, si tratta probabilmente dello sfizio di qualche facoltoso 

collezionista.


Questo invece è un rarissimo esemplare di preproduzione:








Come potete vedere si tratta di un esemplare non funzionale, costruito per valutare l'usabilità e l'aspetto estetico.



Infine la prima, rarissima, macchina della serie delle fotocamere oftalmiche prodotte da Canon, la F-R:





Ad essa poi seguirono la F-Rb, basata su corpo newF-1, e la F-A, basata su corpo A-1.


Ed ancora, un incredibile apparato Multanova (i primi autovelox) basato su F-1 old e dorso 250 fotogrammi.





Nel 1976 fu introdotto un modello aggiornato della F-1, denominato F-1n







Da non confondere con la new F-1 del 1982, modello totalmente differente di cui parlerò più avanti; tale modello introduceva poche modifiche (esteticamente quasi identico):

- Corsa della leva di carica ridotta da 180° a 139°
- Arresto predeterminato della leva di carica su 30° invece che su 15°
- Rivestimento della leva di carica in plastica per facilitare la presa, mentre la prima versione aveva un ringrosso dentellato.
- Incremento della sensibilità da 2000 a 3200 asa
- Connettore flash PC dotato di blocco a vite per evitare sconnessioni.
- Collare del pulsante di scatto di forma svasata conica e non cilindrica (per evitare azionamenti involontari)
- Interruttore dell'esposimetro con ritorno automatico dalla funzione di controllo batteria.
- Aggiunta sul dorso di una tasca promemoria per il tipo pellicola usato.
- Svariate modifiche meccaniche interne, tra cui:
- Eliminazione del blocco di ritenuta degli accoppiatori flash.
- Semplificazione della camma di selezione sensibilità asa.



Ecco come distinguere la F-1 dalla F-1n tramite l'osservazione della leva di carica:

F-1 1970

F-1n 1976







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